Beatrice Bonato, Soggetto e desiderio

Soggetto e desiderio nel lascito freudiano alla filosofia. Le lezioni di Igor Pelgreffi, Graziella Berto, Pier Aldo Rovatti e Paolo Godani alla Summer School 2016

goTra i molti pregi di questa edizione della Summer School di Filosofia e Teoria critica, c’è senz’altro quello di aver rimesso a fuoco un aspetto centrale e problematico del rapporto tra la scoperta freudiana e la filosofia del Novecento e di averlo reso accessibile alla folta platea di studenti con una chiarezza non scontata e non facile da raggiungere. Il punto è questo: posto che la psicoanalisi ha fatto saltare una certa idea di soggetto, rompendone l’identificazione con la coscienza, portando alla luce una dimensione dell’inconscio dominata da dinamiche indipendenti dall’io, la questione del soggetto che fine fa? È ancora un tema sul quale vale la pena che la filosofia si affatichi, oppure è un residuo di cui disfarsi?

Riassumerò i passaggi fondamentali di alcune lezioni del corso, tenendo sullo sfondo questa biforcazione tra due esiti che rimangono opposti. Detto in modo molto schematico, una è la via derridiana, e, seppure in un senso diverso, anche quella lacaniana; l’altra ci riconduce all’opera di Gilles Deleuze e Felix Guattari.

Sul rapporto tra  psicoanalisi e decostruzione si sono addentrati sia Igor Pelgreffi, nel primo turno del corso, sia Graziella Berto nell’ultimo. Pelgreffi (Psicoanalisi, decostruzione e scrittura: il legame complesso tra Freud e Derrida),  ha messo a fuoco soprattutto il confronto intrapreso da Jacques Derrida con la psicoanalisi nel saggio “La scena della scrittura”, pubblicato in La scrittura e la differenza (1967). ss9La critica del logocentrismo, ovvero del privilegio accordato alla voce parlante e cosciente, il riconoscimento che ogni intuizione è costruzione, che l’origine è ripetizione, che non troviamo mai presenza e neppure, in senso stretto, segno, ma sempre solo traccia, si legano sicuramente alla scoperta di Freud. Di qui la possibilità di interpretare la metafisica come una sorta di nevrosi, dove ciò che abbiamo rimosso sarebbe la complessità, la natura indecidibile, ibrida, di certe parole e di certe esperienze, occultata dalla passione per le coppie oppositive. Che a loro volta mostrano sempre una caratteristica struttura bipolare di tipo “morale”, perché è sempre uno dei due termini della coppia a essere considerato come positivo, con il risultato che l’altro riceve il proprio senso negativo dal primo. Il medesimo non è pensabile in altre parole senza l’altro, ma l’esito della manovra metafisica è che l’altro è pensato a partire dal medesimo, e così negato, colonizzato, messo al servizio del medesimo. Se è questa la pulsione che domina la filosofia, Derrida ha cercato di farne emergere il rimosso, il trauma. Con la consapevolezza che la metafisica è tuttavia insuperabile, e che questo non è semplicemente un limite. Contro la ragione non si può far altro che appellarsi alla ragione.

ss13Su questo ruolo della ragione si è aperta la relazione di Graziella Berto, Pensare con Freud: la decostruzione di Derrida. Berto ha preso le mosse da un’intervista rilasciata da Derrida a Elizabeth Roudinesco nel 2001 (Quale domani), dove il filosofo si definiva “amico della psicoanalisi”. Derrida ha mutuato da Freud l’idea di una rivoluzione nel modo di pensare. Una rivoluzione che non ha niente a che fare con l’irrazionalismo. La decostruzione non è infatti una distruzione della ragione, né della filosofia, ma piuttosto una “desedimentazione”. La sua stessa tendenza alla chiusura porta la ragione a una autoimmunità, che Derrida ha inteso, scostandosi dall’uso corrente, in senso positivo. Con la nozione di inconscio, parola a cui ormai siamo fin troppo abituati, Freud ha messo in crisi una certa idea di trasparenza del soggetto, che si lega a un’idea di identità, secondo cui “Io sono ciò che so di me”. La psicanalisi mette in questione l’idea del primato della presenza. Nella nozione di inconscio affiora l’altro, l’eteronomia. Non essere padroni a casa propria vuol dire esattamente essere abitati da pensieri non “pensati”, come “ospiti stranieri più potenti di quelli controllati dall’Io”. Al soggetto che si credeva padrone di sé, Freud assegna il difficile compito di rientrare in sé e imparare prima a conoscersi. L’alterità sta dentro e non fuori. DerridaDopo aver ripercorso gli altri momenti topici del confronto derridiano con Freud (l’elaborazione della nozione di traccia nella Grammatologia del 1967, il lavoro paziente volto a seguire il “passo” di Freud in Speculare – su “Freud” del 1980), Berto si è soffermata sulle forti resistenze nel senso psicoanalitico del termine verso la decostruzione. Ma ci sono resistenze della e nella stessa psicoanalisi, sulle quali Derrida ha pure portato l’attenzione. Resistenze che segnalano la difficoltà di pensare “al di là”, non solo al di là del principio di piacere, ma anche al di là del dualismo pulsionale, al di là delle enigmatiche pulsioni di morte, al di là della crudeltà, al di là del potere, come si legge in Stati d’animo della psicanalisi (2000). Sapendo che si può solo muoversi sui bordi, mai transitare oltre, verso il possesso di un senso originario. L’autoimmunità della ragione starebbe dunque nel mettere in gioco la sua tendenza a toccare un al di là. Come Freud, anche Derrida si definisce in fondo un Illuminista, ma parla di nuovi lumi, capaci di indebolire la sovranità, per far passare l’evento. Una ragione che calcola tutto è il rischio da cui ci mette in guardia.

Per la conferenza del 5 ottobre, che ha concluso l’ultima tornata della Summer School, Pier Aldo Rovatti ha scelto il titolo Per un pensiero debole. Da Freud a Lacan. Titolo in cui ha voluto condensare un excursus sulla più originale e controversa rilettura psicanalitica di Freud, qual è appunto quella lacaniana, e una spiegazione della propria prospettiva teorica, il “Pensiero debole”.pensiero debole L’elemento di continuità con le lezioni su Derrida e Freud balza subito agli occhi. L’indebolimento è già tutto nella rivelazione freudiana che noi non siamo padroni di noi stessi. Rovatti inserisce subito nel discorso ancora un tassello: la malattia, il disagio del nostro tempo. E propone di interpretarlo come una forma di horror vacui, terrore delle zone di vuoto, con la conseguente ansia di riempimento. Ora, il vuoto ha a che fare con la non padronanza di sé. Manque-à-être l’ha chiamata Lacan; riferita al soggetto umano, indica una incompiutezza. Per questo si desidera. Ebbene, il contro-movimento rispetto a questa ansia di riempimento è appunto il pensiero debole. Un discorso rischioso, che potrebbe portarci a un’economia della soggettività piuttosto deludente. E che infatti suscitò immediatamente, appena quell’etichetta cominciò a circolare, molte reazioni negative. Negli anni Ottanta fu interpretato come un riflusso. Eppure Rovatti ricorda di esserci arrivato attraverso Marx, oltre che attraverso la fenomenologia, lavorando sugli elementi “deboli” presenti in Marx, come la nozione di bisogno. Oggi, dopo tutte le polemiche dei decenni trascorsi, il pensiero debole sta diventando paradossalmente molto attuale. Cos’è infatti oggi un pensiero critico, di fronte alla planetarizzazione del capitalismo? L’antidoto all’horror vacui è l’horror pleni, una sorta di “de-pressione” in senso positivo.

Entrando nel merito dell’operazione di Lacan, Rovatti ha messo in campo, insieme alla verità, l’attore principale del teatro filosofico: il soggetto. Se c’è inconscio e se lo prendiamo sul serio, allora il soggetto non è padrone di sé. Ciò contraddice l’ideale di trasparenza oggi ovunque proposto. In rapporto alla questione del soggetto, l’indagine scientifica sul sogno non sembra essere venuta a capo di nulla. L’altra direzione è quella di dare valore positivo a questo non sapere. Ecco un esempio di  indebolimento, dare un valore al “vacuum”. Ciò che non conosciamo, ciò su cui non siamo svegli, è importante. Il soggetto ha a che fare con la nostra non trasparenza, è dormiente. Dovrà svegliarsi, oppure è bene che dorma?

Infine, con la teoria dei tre registri, immaginario, simbolico, reale, Lacan ha negato l’unità del soggetto, mostrando che esso si trova su più piani, non sovrapponibili e non armonizzabili. Ora, come reagire a questa dissoluzione dell’unità? Ne siamo sopraffatti? Siamo in una condizione tragica, come anni fa suggeriva Sergio Givone? No, sostiene Rovatti, il pensiero debole non sfocia in un esito tragico, semmai nell’accettazione della nostra condizione paradossale. Di nuovo viene evocata la decostruzione. Come la decostruzione, il pensiero debole è interessato agli inciampi di Freud. Rovatti richiama la Lezione 31 dell’Introduzione alla psicoanalisi, dove Freud parla di una sorta di prosciugamento dell’inconscio da parte delle forze del progresso, che sono le forze dell’io. Ѐ la famosissima metafora della bonifica dello Zuidersee. Tale sarebbe il senso della formula “Wo Es war Soll Ich werden”. Ma dunque? Freud indubbiamente oscilla. Invece Lacan va decisamente in un’altra direzione. Il luogo più interessante, dice Rovatti, è il Seminario XVII, Il rovescio della psicanalisi. Qui, dove Lacan lavora sulla questione della padronanza, la frase di Freud viene interpretata in maniera opposta. Non è l’Io che va alla conquista dell’Es; si deve fare in modo di andare dalla parte dell’inconscio. Noi dobbiamo andare là. Tanto in Freud quanto in Lacan opera dunque una de-compressione del soggetto. Questa parola, soggetto, non si può buttar via, come molti vorrebbero, perché è una parola che ci rappresenta. Si può però decomprimerla.

Se Derrida e Lacan, pur decostruendo e decomprimendo, hanno continuato a dare rilievo alla questione del soggetto (che è anche la questione dell’identità, della ragione, della filosofia), c’è stata una potente esperienza filosofica che ha puntato a saltare il bordo e a elaborare un pensiero senza soggetto. Ѐ l’impresa compiuta da Gilles Deleuze e Felix Guattari in Capitalismo e schizofrenia (L’Anti-Edipo e Millepiani, pubblicati rispettivamente nel 1972 e nel 1980). deleuze-guattariLa conferenza di Paolo Godani Per la critica dell’economia libidinale  ne ha esposto con rigore e chiarezza le tesi, con cui le sue posizioni filosofiche sono in sintonia. La prima premessa è data dal parallelo tra critica marxiana dell’economia politica e critica della psicanalisi e dell’economia libidinale che la sostiene. Freud sarebbe, sostiene il relatore con Deleuze e Guattari, lo scopritore del campo del desiderio o libido, non tanto dell’inconscio. L’altra novità è che Freud fonda il desiderio sulla libido quantitativa, la natura astratta del desiderio, come David Ricardo aveva scoperto il lavoro astratto, ovvero il lavoro tout court. Coerentemente con tale prospettiva, Deleuze e Guattari intendono il desiderio come campi di forze, più che come qualcosa di soggettivo e individuale. D’altra parte rivolgono una violenta critica contro la psicoanalisi, che avrebbe colonizzato il campo del desiderio, imponendogli “costumi europei” (Edipo, figura della famiglia borghese, patriarcale, norma proiettata sull’inconscio). Così alla psicanalisi viene imputata, paradossalmente, la permanenza di una componente personalistica, risalente al cristianesimo. Questo esito non era scontato. La psicanalisi avrebbe potuto essere altro. Ѐ possibile infatti  pensare in modo nuovo  la relazione tra campo del desiderio e campo politico. La lettura congiunta di psicoanalisi e marxismo non era certo nuova: basti pensare al freudomarxismo, a Reich e a Marcuse. Ma la via dei due pensatori francesi è diversa. La loro tesi è che l’organizzazione economico-sociale sia già di per sé intrisa di desiderio. Esso ha come suo oggetto il campo intero delle relazioni sociali. Non occorre perciò cercare a posteriori la connessione, la mediazione di una conciliazione dialettica. La dialettica e la necessità del lavoro del negativo vengono respinte, per fare posto alla logica dell’immanenza. I termini si mescolano: il desiderio può essere rivoluzionario o fascista, viceversa una formazione sociale può essere schizofrenica o paranoica. E non c’è nessuna metafora, perché la metafora è il corrispettivo della dialettica. I termini valgono, letteralmente, nello stesso senso. Ciò non vuol dire che le società abbiano una psiche personale. Una società può essere letteralmente paranoica. Un esempio di questo innesto immediato sono Le memorie di un malato di nervi del presidente Schreber. La psicanalisi avrebbe marginalizzato gli elementi politici e cosmici di questo  delirio, per concentrarsi solo sull’Edipo. Ma nel delirio di Schreber il triangolo familiare non c’è; c’è piuttosto uno sguardo mitologico. Lo riguarda molto di più l’ordine planetario che quello della sua famiglia. Il suo desiderio è di essere l’unico sopravvivente in un mondo dove tutti siano morti. A Schreber interessano le masse, umane e cosmiche, perché sono minacciose. Pericolose perché minacciano il popolo eletto, quello tedesco, che Dio gli ha dato il compito di difendere. Ecco il polo paranoico. Al polo opposto, quello schizofrenico, troviamo il delirio di August Blanqui, rivoluzionario di professione, esposto in L’eternità attraverso gli astri: una cosmologia di mondi possibili, concepita tra attentati e lunghe fasi di prigionia.

Se partiamo, all’inverso, dalla società, vediamo in opera dinamiche desideranti impersonali. Non vuol dire che ci siano strutture che causano sovrastrutture deliranti. Né ideologie capaci di colonizzare le menti degli individui. Le dinamiche sociali sono leggibili immediatamente con categorie libidinali. Anche qui, Godani propone un esempio. Il Fascismo ha sempre fatto problema a tutta la tradizione freudomarxista. Perché le masse vanno verso il Fascismo, quando, con tutta evidenza, esso va contro i loro interessi, anzi le opprime? Una spiegazione classica è che le masse siano state ingannate. Deleuze e Guattari pensano invece che il Fascismo sia un desiderio. Ciò vuol dire che esiste un desiderio fascista. Perché gli uomini, si chiedeva Spinoza nel Trattato teologico-politico, combattono per la propria servitù come se si trattasse della propria salvezza? Perché si accettano, oggi come ieri, diseguaglianze plateali senza ribellarsi? Per gli autori dell’Anti-Edipo è necessario distinguere due livelli dell’investimento del desiderio: uno inconscio e uno preconscio, non coincidenti. Le masse possono aderire al fascismo perché sono mosse dal livello inconscio. A livello preconscio, razionale, lo rigetterebbero. Ma cosa significa desiderare il Fascismo? Il motivo è che può essere preferibile essere un ingranaggio di una macchina che non essere nulla. Almeno ci si sente di appartenere alla macchina. Così è per l’assoggettamento alla burocrazia. Ma è anche vero che da un punto di vista inconscio ci sono modalità paranoiche o schizofreniche. Il desiderio è fascista o rivoluzionario. Il Fascismo, conclude Godani, non è un esempio scelto a caso. Come ha scritto Foucault, l’Anti-Edipo è una “introduzione alla vita non fascista”.godani

Una vita non fascista: bellissima promessa – a meno che non sia un’utopia – di cui però si coglie tutta l’attualità solo se si estende, come credo sia giusto, il concetto libidinale di fascismo alle attuali forme di dominio e di assoggettamento “spontaneo”. Oppure, il che forse è più corretto, se si smette di considerare il fascismo come l’unica forma di paranoia politica che si possa immaginare. E se si decide di applicare, come nel finale della propria esposizione Godani ha fatto, l’analisi di Deleuze e Guattari al neoliberalismo.

vita comune

 

Ma, mi domando, abbiamo davvero bisogno di sacrificare il soggetto per lasciare aperta questa prospettiva? O forse è venuto il tempo di ricongiungere “vita comune” (titolo dell’ultimo saggio di Paolo Godani) e soggettività individuale, che è qualcosa di più e di meno dell’io “padrone di sé”? Mi piacerebbe provare a seguire questa alternativa.

Beatrice Bonato