Attività Inoperose di Graziella Berto e Beatrice Bonato

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07-10-15 15:00 - 18:00
Via Planis, 25, Udine, UD, Italia
Address: Via Planis, 25, Udine, UD, Italia

Presso il liceo scientifico "N. Copernico" di Udine

Discussione sul libro  L'uso dei corpi  di Giorgio Agamben.

Interventi di
Beatrice Bonato e Graziella Berto.

Abstract
Giorgio Agamben è una delle più importanti e intense voci della filosofia italiana e internazionale. La sua vasta e complessa opera si sta sviluppando da diversi anni secondo un progetto di ricerca ramificato e al tempo stesso compatto, inaugurato nel 1995 da Homo sacer. Quel testo metteva a tema la “nuda vita”, ovvero la vita privata di ogni segno politico di riconoscimento a cui veniva ridotto anticamente chi era bandito dalla comunità, realizzata su larga scala dai totalitarismi del Novecento e oggi incarnata dalle masse dei rifugiati senza diritti. Successivamente l’autore ha esplorato, con un metodo originale, filosofico e filologico insieme, le categorie del pensiero occidentale che hanno modellato la nostra attuale visione della politica, dell’economia, della vita pubblica e privata. Ha ritenuto di cogliere in questa storia le radici di ciò che il mondo è divenuto, ma anche le tracce di possibilità alternative, mai definitivamente cancellate.

Il seminario che proponiamo si concentrerà sull’ultima tappa di questo percorso, il saggio del 2014 L’uso dei corpi. Il testo prende le mosse da una strana espressione di Aristotele, “l’uso del corpo”, per ricomporre, a partire da essa, un’idea della vita umana che oggi non riusciamo quasi più a immaginare, se non in modo negativo, come il rovescio della vita catturata nelle maglie dell’organizzazione amministrativa, tecnica ed economica.

        Una vita che non si realizzi in opere sempre più ambiziose, che non si tenda verso un continuo autosuperamento, a noi contemporanei sembrerebbe forse una vita priva di valore, insignificante e inutile. Questo libro di Agamben è invece una presa di posizione forte e spesso convincente, seppure discutibile in alcuni passaggi, a favore di un recupero teorico e pratico di forme di vita non ossessivamente performative, non piegate agli imperativi della produzione e dell’efficienza. “Inoperosità” è dunque il nome problematico per il carattere o lo stile di una vita restituita al suo semplice intimo “uso”, e insieme riaperta a una possibile felicità pubblica.