Summer School. Articolo di Elena Toso, 5°E del Liceo Copernico di Udine

CRISI DELLA DEMOCRAZIA ED ECONOMIA

 

La seguente relazione verterà sul tema trattato dalla prof.ssa Ilaria Possenti (docente di filosofia politica dell’Università di Verona) nel seminario dal titolo:  Ripensare la libertà. La crisi della democrazia tra economia e politica.

Verranno brevemente analizzati qui i concetti di democrazia ed economia all’interno della storia, per riuscire a comprendere la loro relazione e come questa abbia potuto portare all’odierna crisi democratica dell’occidente.

Oltre a Platone ed Aristotele, verranno citati gli scritti di Karl Polanyi (Economie primitive, arcaiche e moderne, Einaudi), e di Moses Finley (La democrazia degli antichi e dei moderni, Mondadori), autori a cui la Possenti ha fatto maggior riferimento nella sua trattazione.

 

Ilaria Possenti introduce la questione con una domanda: è ancora possibile parlare di democrazia e libertà quando la vita della “polis” si svolge sul mercato e per il mercato?

Analizziamola: il termine “polis” ci rimanda alla Grecia antica, in particolar modo ad Atene (polis per eccellenza). E’ qui che nasce (tra il VI ed il V sec. a.C.)  la democrazia, che vede l’attiva partecipazione degli ateniesi al governo della città, e che si configura, quindi, come una democrazia partecipativa. Era indispensabile che il singolo si interessasse della “cosa pubblica”  e che si mettesse in discussione con gli altri, infatti le decisioni che si prendevano nell’Agorà andavano ad influire direttamente sulla sua vita. Tale singolo, quindi, non era un semplice individuo, dedito esclusivamente all’amministrazione delle sue proprietà, ma era un cittadino, ed il suo essere cittadino era strettamente connesso alla partecipazione politica. Pericle afferma in un’orazione funebre: “… Consideriamo chiunque non partecipa alla vita del cittadino non come uno che bada ai propri affari ma come un individuo inutile.” [Finley, ibidem¹].

Già all’epoca, però, vi erano coloro che non condividevano tali principi: Platone in primis “era completamente contrario al governo popolare” [¹]. Chi doveva stare nell’Agorà, secondo lui, era un élite di filosofi, gli unici davvero in grado di puntare al bene comune, in quanto essi soli sapevano cosa realmente fosse. Egli quindi sosteneva l’ipotesi di un governo oligarchico.

Aristotele semplifica la questione dicendo che “… la reale differenza tra la democrazia e l’oligarchia è la povertà e la ricchezza.” [¹]: democrazia come governo dei poveri, oligarchia come governo dei ricchi.

Nonostante ciò la democrazia figurerà come elemento costitutivo della polis ateniese per ben due secoli, rivoluzionando il concetto di partecipazione politica ed influenzando altre civiltà e popoli fino al giorno d’oggi.

Come si inserisce in tutto ciò il fattore economico?

Nell’antica Grecia l’economia era diretta conseguenza della presenza di una società, ed era calata in tale contesto. La stessa parola “economia” deriva dall’unione di due parole greche: οἶκος (oikos, casa) e νόμος (nomos, legge). Essa era il governo della casa. Tale οἶκος era il primo dei tre livelli di suddivisione della società antica:

  1. οἶκος (vedi sopra);
  2. κώμη (kòme, il villaggio);
  • πόλις (polis, città-Stato);

L’ οἰκονομία era un elemento fisiologico della polis che vedeva la proiezione dell’affare privato nella sfera pubblica. Vi era poi il mercato e/o commercio che nasceva dalla necessità di scambio o ridistribuzione dell’eccesso di produzione, senza però avere come finalità prima ed esclusiva il guadagno, e che guardava quindi più al bene in sé che non al valore di questo (elemento che si invertirà con la nascita dell’economia di mercato*).

Polanyi poi ci dice: “In termini generali è corretto dire che tutti i sistemi economici che ci sono noti, fino alla fine del feudalesimo nell’Europa occidentale, erano organizzati alternativamente  sui principi della reciprocità o della redistribuzione o dell’economia domestica o di una combinazione di questi tre. Questi principi furono istituzionalizzati con l’aiuto di un’organizzazione sociale che inter alia faceva uso dei modelli della simmetria, della centricità e dell’autarchia. In questo quadro la produzione di beni era assicurata da una grande varietà di motivi individuali, disciplinati da principi generali di comportamento. Tra questi motivi, quello del guadagno non era preminente, la consuetudine e la legge, la magia e la religione cooperavano nell’indurre l’individuo a seguire regole di comportamento che alla fine assicuravano il funzionamento della produzione entro il sistema economico”.  L’οἰκονομία di fatto non esercitava grande influenza sulla politica, semmai avveniva viceversa.

Dalla fine del Medioevo i fatti si evolvono: “Dal XVI secolo in poi i mercati erano a un tempo numerosi e importanti. Nel sistema mercantile essi divennero una delle principali preoccupazioni del governo, tuttavia non vi era ancora alcun segno del prossimo controllo della società umana da parte dei mercati, al contrario: regolamentazione e discipline erano più severe che mai, l’idea di un mercato autoregolato era assente” [Polanyi, ibidem²].

 

In questo ampio spaccato storico (dall’antichità al 600’ ca.) l’economia progredisce, mentre la democrazia viene messa da parte con l’imposizione in tutta Europa di regimi monarchici o autoritari che non perpetuano l’idea governativa delle poleis greche, anzi, al governo dei molti sostituiscono il dispotismo di un singolo.

 

E’ nel XVIII secolo che si assiste ad un cambiamento epocale della storia e della cultura europea: è il secolo dell’Illuminismo; ci troviamo di fronte ad eventi di trasformazione radicale, quali la Rivoluzione francese ed americana; in ambito filosofico e politico nuovi filoni di pensiero (come il liberalismo, la teoria del contratto sociale etc.) forniscono nuovi strumenti politici e di governo. Per quanto riguarda l’economia, invece, le numerose scoperte scientifiche e le innovazioni tecnologiche di questo secolo “illuminato” portano all’avvento della Prima Rivoluzione Industriale.

La prof.ssa Possenti ci tiene a sottolineare, in particolare, come tale rivoluzione sia l’emblema di una vera e propria frattura creatasi tra il mondo antico e quello moderno..

Per visualizzare tale frattura, la docente propone uno schema:

 

 

 

MONDO ANTICO
οἶκος
κώμη
πόλις
MONDO MODERNO
famiglia
società civile
Stato

 

 

 

 

 

Rottura

 

Ai tre livelli della società greca si sostituiscono i tre livelli della società moderna/contemporanea che sono la famiglia, la società civile e lo Stato.

 

Ma perché tutto ciò si verifica?

Per capirlo bisogna guardare all’interazione tra i vari cambiamenti appena citati: la Rivoluzione Industriale porta con sé l’istituzione delle industrie, delle aziende e della concorrenza di queste sul mercato. Le nuove idee filosofico-politiche (rinforzate dal contesto di generale apertura mentale favorito dall’illuminismo) permettono al mercato di emanciparsi, diventando indipendente dalle ingerenze governative e/o statali. Si gettano le basi per la nascita dell’economia di mercato, “un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Un’economia di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario”. [²]. I motivi individuali vengono riassunti in un unico elemento: il desiderio di profitto.

Non solo cambiano le ragioni che spingono gli uomini a fare ed incentivare l’economia ma anche le dinamiche sociali e le “merci di scambio”: dall’economia dell’ οἶκος (la famiglia, nella società moderna)  si passa all’economia della società civile (la κώμη). Rimane questa volta escluso lo Stato (ex- πόλις), poiché “… non deve essere presa alcuna misura o iniziativa politica che influenzi l’azione di questi mercati…;” [²]. Per quanto riguarda i prodotti di scambio Polanyi sottolinea che “Il passo cruciale fu questo: il lavoro e la terra furono trasformati in merce, ossia furono trattati come se fossero stati prodotti per essere venduti”. “Si può capire tutta la portata di un tale passo se si rammenta che ‘lavoro’ non è che sinonimo di ‘uomo’ e ‘terra’ non è che sinonimo di ‘natura’” [²]. Uomo e natura a servizio delle leggi di mercato, e quindi società calata nell’economia*. Se nell’antichità οἶκος e κώμη erano funzionali e trovavano la loro piena realizzazione nella πόλις, ora, la famiglia, ma ancor di più la società civile, hanno trovato nella sfera economica un nuovo campo d’azione lungi dalle dinamiche statali e governative e, quindi, dalla politica. E’ avvenuto il passaggio ad una società in cui le “relazioni […] si trovano incorporate nel sistema economico”.

La società civile prevale sullo Stato, l’economia prevarica la politica.

 

Se la società civile prevale sullo Stato, è inevitabile che ora sia l’individuo che prevale sul cittadino.

A livello politico, però, si presenta, in questi anni, un generale ritorno in auge delle idee democratiche, portate avanti specialmente agli albori della Rivoluzione francese, e che confluivano nel celebre motto di “Libertà, Fraternità e Uguaglianza”. I rivoluzionari tra loro si chiamavano “cittadini”, e la fervente partecipazione popolare ad insurrezioni e moti poteva far presagire un ritorno all’idillio della polis.

Ma non fu così…

O meglio, da un certo punto di vista la democrazia è stata recuperata, e ancora oggi l’Europa può essere definita come un paese democratico; ma la differenza sostanziale che separa la nostra democrazia da quella del mondo greco, e che rappresenta la fonte principale della crisi odierna, risiede nel fatto che quella greca si configurava come una democrazia partecipativa, mentre, nel mondo moderno, si afferma il modello democratico di tipo rappresentativo. Non è più la discussione nell’Agorà il centro della vita del cittadino, ma l’esercizio del proprio diritto di voto. L’espressione della propria opinione su chi si pensa possa meglio rappresentarci come popolo e come società civile, attraverso un gesto che riassume tutte le parole che un cittadino della polis avrebbe avuto l’occasione di esprimere nell’Assemblea.

All’inizio il voto era riservato a pochissimi (non si poteva parlare di una vera e propria democrazia), ma, dagli inizi XX secolo in poi, in concomitanza con l’avvento della società di massa, negli Stati europei cominciano a confluire alla votazione un numero sempre maggiore di persone (fra cui, dopo tante lotte, anche le donne). E il sistema funziona bene, fino a che nel meccanismo “perfetto” non si introduce un subdolo avversario: l’apatia politica. Finley afferma che “Forse la più nota, o almeno la più decantata, tra le ‘scoperte’ fatte dalle moderne ricerche sull’opinione pubblica è l’indifferenza o l’ignoranza della maggioranza dell’elettorato nelle democrazie occidentali […] In certi paesi la maggioranza degli elettori non si preoccupa neppure di esercitare il tanto prezioso diritto di voto.

L’autore spiega quale sia, a suo parere, l’origine di questo fenomeno sociale degradante: l’apatia “nasce da un senso di impotenza, di impossibilità di controbattere quei gruppi di interesse la cui voce predomina nelle decisioni di governo”. La democrazia rappresentativa si rivela, quindi,  sotto forma di un’oligarchia mascherata, in cui l’espressione della propria opinione risulta quasi impossibile.

C’è da dire, inoltre, che l’avvento del sistema capitalistico ha contribuito significativamente alla formazione di questa apatia, attraverso la separazione fra società civile e Stato (vedi sopra). L’individuo viene favorito a scapito del cittadino, e l’economia sembra esser diventata quasi più importante della politica. Lo vediamo nella stessa Unione Europea, un’unione monetaria prime ancora che democratica.

 

Concludendo, ritengo di poter affermare che l’odierna crisi della democrazia si configuri come la crisi del cittadino a favore dell’individuo.

Però alla polis greca non è possibile tornare: infatti tale sistema politico funzionava in quanto calato in una comunità relativamente piccola e ristretta. E se si va ad indagare i rapporti che intercorrevano tra le poleis dell’antica Grecia ai tempi della democrazia ateniese, questi erano tutt’altro che pacifici.

Oggi siamo in tanti, e pensare ad un’Assemblea che ci contenga tutti e che dia spazio alla opinione di ciascuno di noi è pressoché impossibile.

Ma allora, non esiste più la democrazia?

Forse la soluzione sta nel  pensare ad un altro modello economico che dia maggior valore al cittadino, perché come dice Finley: “Una società autenticamente politica, nella quale la discussione e il dibattito sono una tecnica essenziale, è una società colma di rischi”, anche se “Ciò non è solo inevitabile, ma addirittura desiderabile”.