Lo stesso giorno del Vajont. Catastrofi e infiltrazioni

di Enrico Petris

Ora che l’obbligo delle celebrazioni è passato, possiamo ritornare un attimo al Vajont. Ricordiamo che la catastrofe avvenne per una molteplicità di cause: innalzamento del livello delle acque, precedenti smottamenti, forte piovosità, tra le quali anche le infiltrazioni e l’imbibimento delle falde argillose del monte Toc. Lo facciamo non tanto per continuare a ricordare la tragedia, ci hanno già pensato giornali locali ed intellettuali esperti, quanto piuttosto per volgere lo sguardo altrove in quell’Italia del 9 ottobre 1963. Quel giorno a Roma era in corso la manifestaziVajont_digaone nazionale degli edili per protestare contro la serrata, della durata di una settimana, minacciata dall’Acer, l’associazione dei costruttori edili romani. Nei confronti dell’associazione era schierato un vasto settore della politica capitolina. Nel suo intervento in consiglio comunale, l’assessore all’Urbanistica Petrucci definiva inaccettabile il tentativo di ammorbidire alcuni vincoli previsti dal piano regolatore contenuti nelle rivendicazioni dei costruttori. Così come riteneva inaccettabile il giudizio negativo sul blocco delle licenze di costruzione di cui si lamentavano sempre i costruttori. Dati alla mano, Petrucci comunicava che nei primi mesi del 1963 erano state concesse licenze per 192 mila vani. mentre, in media, il totale dell’attività edificatoria, negli anni precedenti, si era mantenuto sui 200-210 mila vani all’anno. Voleva dire che i progetti approvati erano esattamente il doppio di quello che sarebbe necessario, data la capacità costruttiva dell’industria edilizia romana. Anche l’assessore all’Urbanistica non aveva potuto fare a meno di rilevare che evidentemente molti si tenevano le licenze in tasca solo per fare aumentare il prezzo dei terreni. Si giungeva quindi alla votazione sull’ordine del giorno su cui le destre si astenevano. È il vasto capitolo noto all’epoca come speculazione edilizia che ha animato la cinematografia e la letteratura neorealista.

Quel 9 ottobre restavano 4 anni esatti di vita al dottor Guevara, mentre la sua Cuba era devastata dal ciclone Flora che si abbatteva sull’isola. Ebbene quel giorno a Roma per la prima volta veniva messo in atto un piano di cui c’è ora traccia in un documento del 12 settembre 1963 (si può trovare qui http://issuu.com/isgrec/docs/settembre1963), quindi solo di un mese prima, del famoso colonnello Renzo Rocca, che morirà in circostanze suicidarie dubbie nel giugno 1968, responsabile all’epoca dell’ufficio REI del Sifar, che si occupava di controspionaggio industriale e di esportazione di armi, indirizzato al generale Giovanni Allavena, direttore del reparto D, sulla intensificazione dell’azione anticomunista. Il documento, che prefigura la possibilità di retrodatare l’inizio della strategia della tensione, è stato scoperto da Giacomo Pacini e reso noto nel febbraio del 2013. Si ritiene che la prima messa in atto dei suggerimenti per una efficace lotta anticomunista sia avvenuta il successivo 9 ottobre. Che cosa si diceva in quel testo? Si proponeva di intensificare la lotta anticomunista attraverso una vasta opera di infiltrazione nei gruppi e nelle organizzazioni di sinistra. Si insisteva in particolare sulla necessità di dotarsi di una robusta cultura di guerra psicologica e non ortodossa. Erano suggerimenti che circolavano almeno da un decennio. Già nel 1952 il capo del SIFAR, generale Umberto Broccoli, si impegnava a rispettare gli obiettivi di un piano permanente di offensiva anticomunista, elaborato dai servizi segreti degli USA, e noto col nome di Demagnetize. La smagnetizzazione consisteva nel separare l’opinione pubblica dalla nefasta influenza dell’ideologia comunista. Il documento affermava che l’obiettivo del piano, da raggiungere con qualsiasi mezzo, era quello di ridurre la forza dei partiti comunisti, le loro risorse materiali, la loro influenza nei governi italiano e francese e in particolare nei sindacati, in modo da eliminare il pericolo che potesse ottenere successi in Italia e in Francia, danneggiando gli interessi degli Stati Uniti nei due paesi. Visti gli insuccessi del piano Demagnetize, i partiti comunisti di quei due paesi infatti avevano accresciuto nel corso degli anni Cinquanta il loro peso elettorale, esso venne sostituito con il nuovo piano Chaos, col quale si poneva l’obiettivo di organizzare una ramificata infiltrazione nelle file dell’estrema sinistra al fine di accrescerne la pericolosità. Le violenze sempre più accentuate dei numerosi gruppi extraparlamentari, ingigantite dagli organi di stampa compiacenti, avrebbero influenzato, se non costruito, l’opinione pubblica, che si sarebbe orientata sempre più verso la richiesta di una risposta anticomunista.

Tra marzo e novembre 1963, Pasolini realizzò un film-inchiesta sulla sessualità degli italiani dal titolo Comizi d’amore. È il tentativo di costruire, prima di Foucault, una sua propria storia della sessualità. Benché l’espressione mutazione antropologica sia più tarda, risale ai primi anni Settanta, qui Pasolini sta già battendo la pista della ricerca della mutazione della società italiana sub specie sexuali, che più tardi avrà una eco simbolica e prenderà corpo nei cambiamenti di sesso del protagonista di Petrolio. Sembrava quindi che il regista fosse distratto dai suoi impegni di lavoro e non riuscisse a vedere ciò che stava accadendo. C’è un passaggio però del romanzo postumo che depone al contrario a favore della lucidità chiaroveggente del poeta. Ed è quando si chiede se a quell’epoca, i primi anni Sessanta, c’erano già le spie, c’erano già gli infiltrati: “Ora la domanda che il lettore dovrebbe pormi a questo punto è la seguente: se in quegli anni fossero possibili i provocatori, le spie. Ebbene sì […] anche in quegli anni erano possibili i provocatori, le spie” (appunto 32 Provocatori e spie nel 1960, pag. 135 dell’edizione Oscar Mondadori 2015). La risposta è ovviamente sì. Forse allora Pasolini aveva notato le manovre di piazza del 9 ottobre 1963.